venerdì 1 giugno 2012

SUL TERREMOTO IN EMILIA

Il terzo giorno dopo il terremoto del 29 maggio, dopo aver portato mezzi di sostentamento ai parenti per affrontare l'imminente notte e per fargli evitare un'ennesima dormita in auto, sono andato a far visita ai luoghi vicini all'epicentro.
Fino ad allora non avevo mai sentito così tanto le mie radici emiliane, essendo un mezzosangue pugliese da parte di padre. Vedere con i miei occhi ciò che la natura ha causato alla mia terra è stato aprire una ferita dentro.
Fossoli, Novi, Sant'Antonio in Mercadello, Cavezzo: le case rurali di una volta, proprio quelle che incuriosivano la mia visione al passaggio nei tanti giri in scooter che ho fatto fuori città negli anni precedenti, erano per la maggior parte crollate, sfondate, sventrate; quelle poche salvatesi avevano il tetto che aveva la forma ondosa, innaturale, come se aspettassero solo un ulteriore scossone per venire giù.
E poi Rovereto. Ricordi estivi della sagra di paese con scoppiettanti fuochi d'artificio, un fiume di gente lungo la via del corso guarda in alto un cielo stellato, spensierata, godendosi il fresco notturno di una giornata di fine agosto.
Deserto. Cielo coperto, afa insopportabile. Nessuna anima viva all'interno della zona rossa. La banderelle bianche e rosse vengono mosse da un lieve fremito di vento. E' un attimo scavalcarle. A destra e sinistra c'è solo desolazione: crepe trasversali e a zig zag decorrono sui muri. E' possibile vedere dentro le ferite delle abitazioni, dalla quale esce una luce solare fioca. I balconi presentano porte-finestre lasciate aperte, ma quello che più colpisce sono gli stenditoi ancora pieni di vestiti che non saranno mai più indossati. A sinistra scorgo la chiesa sventrata dove Don Ivan se ne è andato. Realizzo in pochi secondi che nessuna di quelle case si è salvata, stanno tutte aspettando il colpo di grazia che le faccia crollare. Un attimo dopo si sente un boato, i vetri delle finestre sbattono fragorosamente e la terra trema ancora. Io e mia moglie ci stringiamo in un abbraccio strabordante di paura: ci troviamo nel cuore di una città che sta morendo. Corriamo via, pieni di dolore e impotenza: abbiamo conosciuto davvero cos'è il terremoto.

martedì 29 novembre 2011

LA VITA CAMBIA


La vita cambia, che volete farci.

Aprii questo blog nel 2005, sostanzialmente perchè, nonostante l'Università fosse impegnativa, avevo un sacco di tempo libero. Era un ottimo diversivo per distogliermi dalla droga dell'epoca, ogame, un gioco online di cui ero  purtroppo diventato dipendente. Col passare del tempo, il blog era cresciuto fino a diventare, permettetemelo, un piccolo capolavorino sul difficile percorso che deve affrontare lo studente di medicina. Non sono riuscito a completarlo come volevo, e me ne rammarico. Io davvero avrei voluto finirlo, arrivare a descrivervi quel 51° esame, di come mi sono sentito, e volevo descrivervi anche il 27° il 33°, il 42° e mezzo, insomma, avevo tanto da raccontarvi, piccoli aneddoti, delicate sensazioni o emozioni "light". Il tempo è passato, i ricordi sono in parte svaniti, probabilmente ho perso l'occasione.

Leggo con stupore che il mio blog si trova al secondo posto assoluto della ricerca "piramide di maslow" su google immagini. Chi lo avrebbe mai detto.

Leggo con immenso piacere che il mio blog è ancora letto da decine di persone e studenti di medicina, che mi chedono di continuare e mi domandano: "Perchè hai smesso di scrivere?". Mi riempiono d'orgoglio.

Leggo riflessioni, commenti, lasciti fugaci di tanti fantasmi della Rete, che arrivano al mio blog per chissà quale strada.

Ora sono medico, sono marito, forse in futuro sarò padre.

Splinder chiude, e con esso chiudono tanti pezzi di Italia che si potevano trovare descritti nelle sue innumerevoli pagine.

Non volevo che finisse così, ma la vita cambia, che volete farci.


lunedì 7 dicembre 2009

PILLOLA DI VITA N. 8



Nel mio ospedale, all'ultimo piano, l'ottavo, è situata l'unità di ricovero a pagamento (URAP). In questo reparto vengono ricoverati pazienti per lo più facoltosi che preferiscono il servizio "comfort" con stanze dotate di ogni ben di Dio (divani in pelle, telefono personale, TV LCD) piuttosto che le modeste stanze di degenza dei normali reparti di ricovero. Da questo piano c'è una splendida veduta di Modena e degli Appennini, che forse vale solo essa il prezzo che si paga per la degenza.

A metà ottobre un nostro Paziente aveva scelto di essere ricoverato in URAP; era in precarie condizioni di salute ed era mentalmente lucido solo a tratti. Il mio primario mi aveva assegnato il compito di seguire il Paziente mentre veniva trasportato in radiologia per eseguire un esame. Mezzo svogliato, mi recai all'ottavo piano. Di lui sapevo solo il nome e l'appellativo: Cavaliere. Incuriosito, durante il "viaggio" dall'URAP alla Radiologia, gli chiesi perchè lo chiamassero così. E lui, in un raro momento di lucidità, mi raccontò che lui non era solo Cavaliere, ma anche Gran Ufficiale della Repubblica, Cavaliere dell'Ordine di Malta, Cavaliere dell'Ordine del Lichtenstein, Cavaliere dell'Ordine di....... Continuavo a fissarlo quasi inebetito. Possibile che davvero quell'uomo, così malato, così senza forze, così debole, fosse stato una persona così di spicco nella società di un tempo? Non capii che mestiere faceva perchè il delirio prese il posto alla lucidità. Ebbi modo solo di percepire che era stato, tra i tanti lavori che aveva svolto, un famoso pilota dell'Alitalia del dopoguerra.

L'indomani pomeriggio il primario mi aveva assegnato un altro lavoro "scomodo": andare ad aiutare il fisioterapista che cercava di mettere in piedi con il girello, dopo un lungo periodo di allettamento, il Cavaliere. Stava ormai tramontando il sole, la stanza era illuminata da luce naturale. Con fatica immane il Cavaliere, grazie al nostro aiuto e a quello del girello, muoveva stentati e stanchi, stanchissimi passi dal letto alla finestra e dalla finestra al letto, a mò di gambero. Fece questo percorso per almeno venti minuti, trascinando stancamente le gambe che a malapena lo reggevano in piedi, e in quest'arco di tempo il suo sguardo era sempre diretto verso la splendida veduta che gli si presentava davanti: gli Appennini modenesi al tramonto. Con sfiancata voce disse, all'ennesimo avanti e indietro: "Io gli ho sorvolati quei monti. Dall'aeroplano sono bellissimi". La moglie gli chiese: "E ti ricordi che monti sono?". "Certo, sono gli Appennini". "Bravo!!! Vedi che ti ricordi? E dove siamo qua?". Il Cavaliere, sempre continuando a fissare fuori dalla finestra, fece fatica a rispondere, probabilmente il periodo di lucidità stava svanendo. Rispose a fatica, dopo qualche manciata di secondi: "Siamo a Rovigo". Dal viso della moglie scomparve il sorriso. Il Cavaliere, con sguardo atono, continuava a fissare gli Appennini. Lo guardai nei suoi vecchi occhi azzurri, e ne fui colpito, e continuai a fissarlo stupito. Un brivido di malinconia mi percorse. Il suo sguardo mirava ora verso il cielo blu. Forse, pensai, in quel momento stava ricordando di quando un tempo sfrecciava con il suo aeroplano proprio in mezzo a quelle nuvole che apparivano in orizzonte. Sì, in quel momento lo stava ricordando, ne sono sicuro, i suoi occhi lo gridavano.

Il Cavaliere se ne andò durante quella notte stroncato da un infarto.

A VOLTE RITORNANO



Quasi 2 anni e mezzo di inattività "letteraria" non sono pochi. Ciò che mi ha spinto, oggi, a scrivere ancora su questo blog è stato un lettore, che mi ha contattato circa 2 mesi fa con un messaggio privato su un forum di telefonia che non ha nulla a che fare con splinder. Mi ha fatto i complimenti per ciò che ho scritto e mi ha esortato a continuare a farlo. Per un blogger penso che non ci sia cosa più piacevole di questa: dopo anni di inattività, persone che ancora leggono ciò che hai scritto e che ti esortano a continuare, contattandoti addirittura con canali extraordinari.

Tante cose sono cambiate nella mia vita. La mia indecisione, ora, sta nel come raccontarlo. Potrei farlo adesso, qua, ma poi che senso avrebbe ancora il blog? Chi mi ha letto mi chiede: "E poi? Come è andata a finire?". Lo scoprirete leggendo.

Un grazie di cuore a chi, con i suoi complimenti, mi ha spinto a riprendere questo blog.

mercoledì 20 giugno 2007

10 - FISIOLOGIA II (1° parte)

Era giugno del 2003. Non feci in tempo a gustarmi il successo in anatomia che un altro mattone mi stava aspettando alla porta: fisiologia II. Esso era definito, a detta dei laureandi, come l'esame più difficile e stressante di tutti i 6 anni di medicina: vuoi per l'ansia del blocco del 2° anno, vuoi per l'impresa di superare tre professori, vuoi per la difficoltà degli argomenti. Fisio II appariva, a primo acchito, un esame davvero insormontabile; spiegato a lezione per i 2/3 di esso in maniera assolutamente incomprensibile, era caratterizzato dalla mancanza di un unico testo su cui studiare. Il programma d'esame era costituito da 8 pagine, per ogni argomento era consigliato un libro diverso così fummo costretti a fotocopiarcene ben 4, più il quinto che invece comprammo perchè quello consigliato dai docenti (Berne-Levy, Agnati, Schimdt-Thews, Guyton, Baldissera). Inoltre c'era da considerare le sbobine di ogni prof, sia quelle di quell'anno sia quelle dell'anno precedente (a integrazione degli argomenti non trattati), tanto che io e i miei amici perdemmo più di 2 giorni interi per fare le fotocopie di tutto quel materiale (ovviamente non a pagamento, avevamo gli agganci giusti), più un altro giorno per mettere in ordine le pagine e rilegarle. Uscimmo dalla stanzetta della fotocopiatrice con più di 1000 pagine a testa. Di tentativo di impresa si trattava, ne eravamo tutti ben consapevoli. Era il 9 giugno.


Mi ricordo che in quei giorni cominciai a studiare da solo nella mia buia e triste tavernetta-bunker, mentre fuori il sole faceva alzare il mercurio nella colonnina dei termometri a livelli a cui mai era arrivato in 150 anni. Studiai per oltre un mese e mezzo, arrivai a pochi giorni dall'esame che dovevo ancora iniziare a ripassare. Chiamai Nick e gli proposi di ripetere, accettò. Il mio amico aveva la casa libera, visto che i suoi genitori erano andati in vacanza, così andavo a studiare tutto il giorno da lui. Nick aveva da qualche mese finito la storia con Ilaria, una bella ragazza mora con cui era stato insieme quasi un anno, ma ricordo che in quel periodo si stavano rifrequentando e lei andava tutte le sere a dormire da lui; così ricordo che noi cominciavamo a studiare alle 9, lei invece si alzava alle 10, con calma, veniva a dare il bacio del buongiorno a Nick poi se ne andava via.


Il 25 luglio provammo entrambi l'esame, certi che non ce l'avremmo mai potuta fare: io venni segato in renale dopo un minuto, Nick venne segato dopo neanche 30 secondi dal prof di cardiovascolare, dopo che con un colpo di culo micidiale era riuscito a passare la parte di renale. Usciti dall'aula, ci guardammo in faccia e ci uscì una surreale risata: ci aspettava un'estate sui libri, ma prima di tutto una partita alla playstation a casa mia.

venerdì 18 maggio 2007

UN RAGAZZO

Premessa: questo è l'altro punto di vista, scritto dalla mia ragazza, del post del 18 dicembre 2006 http://51esami.splinder.com/post/10283063/UNA+RAGAZZA . Federica ha fatto per me qualcosa che mai nessuno aveva fatto, qualcosa che al solo pensiero mi scatena brividi lungo la schiena. Per il nostro primo anniversario di fidanzamento mi ha scritto un libro...


18052007


La foto non è scelta a caso, l'ha fatta lei con la fotocamera e quando me l'ha fatta vedere ne sono rimasto meravigliato. Vi riporto la terza parte, la descrizione "speculare" di ciò che successe quel giorno.


QUEL GIORNO INDIMENTICABILE A ROMA


Era ormai da qualche tempo che stava cambiando la stagione. Si erano gia visti i primi fiori sbocciare, l’aria era già più mite e il sole iniziava a regalare le prime vere belle giornate di primavera… gli uccellini cantavano, i cappotti invernali erano anche loro ormai passati. Era il primo giorno di maggio. Rimaneva solo un po’ la giovane mattina, con la sua umida temperatura, i suoi colori tenui e chiari, a segnare il ricordo del freddo inverno triste appena passato. Triste era anche il mio cuore allora, deluso e scottato da un amore malato. Ma quella mattina una strana sensazione positiva mi avvolgeva intorno, nascondendo alla perfezione il volto ferito da tanto dolore…le lacrime versate in tanti mesi precedenti mi avevamo reso molto forte e avevano risvegliato quella parte di me che si era addormentata sotto la potenza di un carattere troppo autoritario…ne ero uscita devastata. Sfibrata. Logorata. Ma tanto forte.

Non avevo la più pallida idea dell’avventura a cui stavo andando incontro, ma sapevo che mi avrebbe fatto bene. Me lo sentivo. Mi avrebbe fatto bene. Decisi: facciamo questa pazzia!


Mi trovai il 1° maggio alle 7.30 nel piazzale delle corriere di Modena con la Linda. Le uniche cose che sapevo era la destinazione: “Roma” e un nome: “Gabry”… non avevo mai sentito parlare in 22 anni del Concerto del 1° Maggio a Roma, non sapevo che era un concerto famosissimo, non sapevo che ogni anno un sacco di ragazzi vanno a questo benedetto concerto, non sapevo che anche a Modena organizzavano dei pullman di studenti per raggiungere Roma, né tanto meno sapevo che proprio quei ragazzi che ogni anno organizzano i pullman sono studenti e rappresentanti del mio corso di Laurea!! Ecco come ogni volta casco giù dal pero… (una delle mie caratteristiche fondamentali!!  D’altronde vivo a Fossoli, nel mio piccolo mondo incantato…)

La Romina era l’altra pazza compagna di avventura che avremmo dovuto raccogliere per strada al casello di Firenze…o almeno così mi aveva assicurato Gabry. Ero proprio curiosa di vedere sto Gabry, …non l’avevo mai visto ma con quell’accento toscano non avrei mai potuto sbagliarmi nel riconoscerlo, scampando una possibile figuraccia. Ci eravamo sentiti un sacco di volte la sera prima di partire, per sistemare al dettaglio l’incontro e il programma di quella mattina. E di parola, o quasi, fu…  Il pullman era gia nel piazzale, pronto. Alcuni ragazzi intorno stavano già aspettando. Da lontano vedo la Linda, corsi verso di lei e ci abbracciammo con gioia, tutte entusiaste per la nostra imminente partenza. Ci avvicinammo anche noi al pullman, ci guardammo attorno un po’ impacciate ma con le orecchie ben aperte, aspettando di carpire tra i ragazzi qualche parola con l’accento toscano. Passarono pochi minuti quando tre bei giovanotti si avvicinarono. Si presentarono: “Gabry”, “Matteo”, “Leonardo” ..piacere…. Li guardai con occhi incuriositi nella speranza di dare almeno a loro (gli occhi) la loro parte…

Mentalmente, durante lo scambio reciproco delle presentazioni, mi  balenò per la testa a mia insaputa qualche piccolo commento involontario: “ questo no"..  “questo nemmeno”.. “non ci siamo”…  mi ricordo che quell’attimo fu breve e di poca rilevanza. Dopo aver conosciuto i ragazzi, scambiammo altre 2 chiacchiere commentando tutto il traffico di telefonate che c'era stato nei giorni precedenti per organizzare il tutto, dopodiché Gabry ci disse che non sarebbe venuto, e che per qualsiasi problema potevamo rivolgerci a “Matteo”, la nostra guida. “No problem”, pensai, e così finalmente partimmo.


Ero molto agitata. Non mi sembrava vero. Avevo voglia di vedere la Romi per condividere anche con lei queste forti emozioni. Dopo un breve tratto di autostrada mi venne in mente di ricordare alla nostra “guida” di fermare tutta la “baracca” a Firenze per tirare su la Romi. Mi avvicinai verso l’autista e con gran voce carica parlai con Matteo (che forse poverino lo spaventai col tono di voce) sul da farsi. Notai, mentre stavo già parlando, che era tutto rannicchiato a braccia conserte, prima del mio arrivo, nei posti davanti e solo dopo mi sono accorta della trasformazione a cui i suoi occhi andarono incontro: da quasi assonnati a quasi sbarrati… il suo corpo ormai quasi sulla posizione dell’attenti… (Boh, chissà cosa è successo?? ho pensato tra me e me). Poi come da solita sbadata e superficialona del momento, tornai a sedermi e dimenticai tutto.

Arrivammo a Firenze e adesso eravamo davvero pronti per la destinazione.

Destinazione paradiso per un solo giorno: Roma.


Il viaggio di andata durò parecchio. Spesso mi sono messa al finestrino e guardando fuori riflettevo in generale sulla mia vita. Sul passato e sul futuro… pensieri che si fanno proprio quando hai tempo e quando nessuno ti rompe le scatole e la solitudine ti permette di entrare in questo stato di transizione psico-mentale... Però il mio trip non durò molto perché la nostra “guida spirituale” romana si attaccò al microfono del pullman e con una simpatica voce iniziò ad urlare proposte di film per allietare il viaggio. Inizialmente mi mostrai del tutto disinteressata da tali proposte ma poi la mia attenzione fu catturata dalla battaglia che Matteo, “la guida”, riuscì a creare per la scelta del film. Il bus era schierato tra testa e coda, Madagascar contro Taxxi 3. Rimasi parecchio affascinata, non so neanche io il perché, dal modo in cui quel ragazzo pronunciava i nomi dei film al microfono, dal sorriso che aveva e dalla voce carica che utilizzava, speranzosa però di accontentare il suo pubblico. Sorpresa della mia reazione inaspettata, mi misi in mezzo anche io per incrementare il caos e magari osservare meglio i comportamenti che mi avevano colpito. Spudorata come sempre, iniziai ad osservarlo e mi impuntai su Madagascar; il caos aumentò. Notai che la nostra “guida” stava badando molto alle aspettative della testata del pullman (dove c’ero anche io) e mi accorsi che mi lanciava qualche occhiatina, o almeno così pensai (certo che urlavo come una gallina e forse chiunque mi avrebbe notato)…sbattei un po’ le ciglia, sorrisetto angelico, capo inclinato e scoccai la frecciatina con tanto di occhi dolci a cui nessuno può dire di no… A questo punto, il bel giovincello entrò davvero in panne, e il suo stato di indecisione fu stroncato proprio dalla mia tecnica invincibile! Vinse Madagascar… Mi aveva dato (indirettamente) ascolto e subito pensai: “Almeno è un gentiluomo quel bel giovincello…bravo bravo!!”

Terminata la “battaglia”, in pullman si respirava una quiete rilassante. Il simpatico cartone aveva già dato inizio alle sue prime immagini e quasi tutti i ragazzi rivolsero la loro attenzione a “Madagascar”. Persa tra me e me, iniziai a navigare con la testa, la mia mente si smarrì nuovamente tra le nuvole, allietata dal ronzio sordo del bus in movimento mentre i miei occhi dilatati erano catturati dalle immagini colorate in movimento della televisione. Una leggera sensazione di benessere e piacere mi riempiva dentro. Ero tranquilla e stavo davvero bene ma proprio in quell’istante accadde una cosa molto, molto particolare. Ad un tratto mi cadde per caso lo sguardo, ormai fisso alla televisione, sul ragazzo seduto di fronte a me, un posto più avanti. Forse attratta involontariamente dai suoi movimenti, mi capitò, incuriosita, di esaminarlo attentamente mentre si sfilava il maglioncino. Quel semplice gesto insignificante  non si mostrò affatto un gesto normale ai miei occhi: il modo in cui quel piccolo ragazzo si tolse il maglioncino mi rimase così impresso che mi fece scattare qualcosa di inspiegabile dentro. Fu un movimento così dolce e fanciullesco, così innocente, ingenuo, con quella timida manina che teneva stretto la t-shirt intima in maniera così cucciola… mentre si impegnava a tenere al dritto la felpa sfilata, si scoprì un piccolo corpicino, prima nascosto sotto gli abiti larghi da fattone, con delle braccia esili esili, ricoperte da una montagna di peletti neri che sembrava un meraviglioso peluche tutto da coccolare, di una dolcezza unica! Avevo appena assistito ad una scena che mi fece completamente riprendere dallo stato di “trance” in cui ero caduta durante il film ed esplose in me un’intensa sensazione di tenerezza spietata nei suoi riguardi.. era la prima volta che mi capitava una simile reazione mentale in conseguenza ad una scena banale e da tutti i giorni. Quel povero ragazzo era Matteo, già, la nostra “guida”, che fino ad un attimo prima avevo guardato con occhi completamente diversi e disinteressati. Ora non si chiamava più “la guida”… il suo nome era “Matteo”. E davvero non me lo aspettavo. Rimasi perplessa ancora per qualche minuto e poi il mio viaggio proseguì, senza dimenticare però ciò che era appena accaduto.


Alle 11.30 arrivammo a Roma. Prima di scendere Matteo ci diede le ultime informazioni utili per la giornata, gli orari e il luogo di ritrovo. Ne approfittò, da buon furbetto, per dare il suo numero di telefono a tutti, nel caso in cui qualcuno si fosse perso o avesse avuto bisogno di informazioni aggiuntive. Mi ricordo che io non me lo segnai. Pensai di non averne bisogno e probabilmente fui l’unica a pensarlo. Sarebbe stato troppo scontato e banale ottenete il suo numero così…


La giornata trascorse molto in fretta e la ritirata era prevista per la mezza al pullman. Puntualissima con le altre all’appuntamento, in poco tempo arrivarono tutti e poi eccoci di nuovo in viaggio più spompi che mai!  Ricordo però che il viaggio di ritorno fu davvero insolito e sicuramente è stato il viaggio più piacevole che io abbia mai fatto, reso così speciale da una persona alquanto singolare. Era Matteo. Capitò  per caso una sosta in autogrill; semplice, breve ma estremamente fondamentale per tutto ciò che accadde di seguito. Fu la prima volta che parlai davvero con lui qualche istante prima della partenza, nella cosiddetta “pausapaglia”. 5 minuti, solo 5 minuti. Una conversazione assai affascinante, capace di risvegliare in me un devoto desiderio di conoscere più a fondo quel tipetto tutto pelle e ossa.  Forse il primo passo si era già compiuto: con una banale e insgamabile scusa, il mio numero di cellulare si era guadagnato un bel posticino nella rubrica del bel rappresentante degli studenti… e io ero diventata in quattro e quattr’otto l’ipotetico potenziale referente dei “grossi” ed “eventuali” problemi di infermieristica… Sicuramente apprezzabile come mossa di attacco da parte di un cacciatore, e decisamente inaspettata da parte mia, continuai l’approccio in maniera del tutto spontanea; Matteo mi metteva a mio completo agio e poveraccio, ormai, con me, era entrato nel tunnel del non ritorno. Una volta risaliti sul pullman, Iniziammo un discorso, che era dentro ad un altro discorso, che era dentro ad un altro discorso ancora, che era dentro ad un altro discorso, che era dentro ad un altro discorso ancora e ci perdemmo completamente parlando di università, di paesi, di città, di croce rossa, di hobby, di interessi, di piccioni, e di mangiare, di tutto e di più… il pullman era completamente silenzioso, tutti dormivano e io imperterrita continuavo a chiacchierare con quella dolce anima, in pena per il mio tono di voce. Mentre parlavo, lo guardavo negli occhi e notai quanto fosse espressivo il suo sguardo; il suo visetto minutino comunicava con quegli occhi, due gran bei occhioni ciccioni, che non richiamavano altro che tanta voglia di coccolarli. Ogni tanto qualche “Shhhhhhhhh” mi interrompeva, ma lo sguardo affascinato di Matteo mi sfilava le parole di bocca, e i discorsi venivano da soli, uno tirava l’altro… non era colpa mia! Era notte fonda ma il sonno neanche mi sfiorava. Stare seduta di fianco a lui, dividere una misera poltrona dell’autobus, stando a stretto contatto, coscia contro coscia, guardando soddisfatta da lontano il mio posto bello libero, parlare vicini vicini, quasi si toccavano le fronti, intraprendere abbozzi di disegni sulla tabella di marcia, e parlare, parlare e poi ridere, e provare la magia che il suo corpo trasmetteva attraverso le mie mani che non tenevo mai ferme… e fu tutto un dire… fino quasi all’alba. Arrivammo a Modena  che il tempo mi sembrò traditore dal gran che volò via. A malincuore non mi sentii di accettare il gentil passaggio che Matteo mi offrì fino a Fossoli per evitarmi il treno, però i tre bacini della buonanotte li colsi al volo. E così lo salutai. Pensai: “Chissà, gli avrò fatto una bella impressione?? Mah…vedremo..”, poi un sospiro mi riempì i polmoni e il suo ricordo mi accompagnò per tutto il tempo, finché non arrivai a casa, tanto che non mi accorsi nemmeno di essere ormai da sola!


Due giorni dopo rividi quegli occhioni in aula all’università; Matteo era venuto con Gabry a “predicare” a noi studenti di infermieristica sull’importanza del nostro voto alle elezioni universitarie, che si sarebbero tenute il giorno successivo. La predica in generale risultò poco efficace, soprattutto perchè la frecciatina era indirizzata al mio cuore, e non all’interesse dei miei compagni. E devo dire che su di me la  mira di Matteo fu davvero perfetta, con tanto di conferma il giorno successivo. Mi presentai infatti alle elezioni al nuovo centro didattico del policlinico con la Romina e l’Eleonora, tanto per avere qualche voto in più. Il cuore mi batteva. Ero agitatissima, eccessivamente troppo per la situazione. Mezzo sorrisino e viso rilassato. I miei occhi però si guardavano intorno inquieti, associati ad una espressione del viso che proprio non rispecchiava il mio stato d’animo. E bastò infatti qualche frazione di secondo per tradire l’apparenza e trasformarmi in una povera anima infuocata alla sola visione del mio adorato fanciullo. Improvvisamente il mio sistema simpatico (o parasimpatico???) andò a farsi friggere e persi il completo controllo di me stessa… arrossii così tanto che la vergogna mi sotterrò viva. Il tremendo rossore mi devastò il volto per parecchi interminabili minuti, davanti agli occhi divertiti ed increduli di Romina e Matteo. Non so il perché, ma fu la prima volta che ebbi una reazione così del tutto inaspettata e completamente incongruente per ciò che provavo allora.. o forse allora il mio cuore lo aveva riconosciuto già, e il mio cervello era rimasto ancora sul pianeta della razionalità... Boh!! Comunque a distanza di ben un anno posso dire che il mio cuore continua ancora a battere così ogni volta che quegli occhioni incrociano i miei e posso dire che nel giro di un anno il mio cervello ha abbandonato alla svelta il pianeta della razionalità per rifugiarsi nel fantastico mondo paradisiaco di Afrodite. Bastò davvero poco per affezionarmi a quella piccola creatura innocente che ora rappresenta la chiave della mia vita di tutti i giorni, l’essenza più profonda di ogni mio respiro, il piccolo rifugio caldo del mio cuore innamorato.


A distanza di un anno da quel magico giorno a Roma ripenso a tutto ciò che abbiamo vissuto insieme successivamente, a tutto quello che abbiamo condiviso, felicità ed angosce, a tutto quello che ci ha legato in una bellissima storia, per tutto questo tempo e che continua a legarci tutt’ora;  mi fermo allora a riflettere sul mio dolce amore, su come la mia strada per caso si sia incrociata alla sua e come, da un giorno all’altro, ci siamo ritrovati di fianco nel cammino della vita.  Non mi sarei mai immaginata come, in un solo giorno, Roma ti possa cambiare completamente la vita…

E pensare che tutta questa storia che ha preso forma e colore nel tempo, ha origini frastagliate, dettate da avvenimenti casuali, legate ad incontri fortuiti e decisioni inaspettate prese su due piedi.

Paradossalmente, si potrebbe dire che la nostra favola è paragonabile ad una partita a scacchi: è stato tutto così perfetto e preciso che il trasporto urbano di Firenze, gli amici tirapacchi e il gruppo di C.L. hanno rappresentato la torre, l’alfiere, e la regina di un perfetto scacco matto!

In gioco: le nostre vite. La vittoria: il nostro amore in un cocktail di destino e fatalità.

venerdì 13 aprile 2007

9 - ANATOMIA UMANA II (2° e ultima parte)

Ero arrivato alla resa dei conti. Non si poteva più sbagliare, nessun errore poteva essere ammesso. O passavo l'esame o perdevo l'anno, e con esso la poca autostima rimasta e i sogni di una vita. Mi ero ripromesso che se non ce l'avessi fatta avrei mollato medicina, per andare a fare il carabiniere; così fantasticavo su come sarebbe stato portare la divisa, avere la pistola o quel superpennacchione rosso durante gli avvenimenti importanti, che tanto mi piaceva guardare al Tg1 quand'ero piccolo. Una sconfitta personale di dimensioni così enormi non sarebbe stata digeribile, neanche da uno come me che era sempre rimasto in piedi nonostante tutti i pugni che i vari boxeur di turno durante la mia vita mi avevano tirato per farmi soccombere.


Era maggio, quell'anno c'era un caldo mai visto. Io e la Silvia ci trovammo a metà mese per stilare un programma di studio. Il 3 giugno 2003 era la data che avrebbe segnato il nostro destino: eravamo messi nella stessa identica maniera, stessi esami fatti, quasi gli stessi voti, stessa situazione di merda. Ci rimboccammo le maniche e partimmo a studiare il primo argomento: le cavità orbitarie, con tutte quelle pareti del cavolo. Il giorno dopo si aggiunse a noi Ricky, un nostro compagno di studi.


Di quel periodo ricordo di quando andavo a studiare a casa della Silvia (studentessa fuori sede) e mi perdevo a fissare la miriade di calendari erotici del suo coinquilino attaccati al muro; di quando ripetevamo nel giardino interno degli istituti anatomici  con un cranio in mano o con un femore usato a mo' di bastone quando qualcuno di noi diceva una fesseria; della finale di Manchester persa dalla Juve per la quale Ricky ci abbandonò per tre giorni perchè andò in Inghilterra a vederla; delle liti furibonde che facevamo quando ognuno sosteneva la propria tesi (a che livello nasceva l'arco aortico? T2 o T4?) e di Ricky che, nel bel mezzo delle urla, col suo cellulare di nuova generazione faceva partire la sigla di E.R per sdrammatizzare; ricordo inoltre il primo giorno di ripasso generale, quando non ricordavo niente della cavità orbitaria e nasale e andai in crisi fino ad avere quasi le lacrime agli occhi; di quando il bidello degli istituti anatomici, che era diventato nostro amico, ci venne ad aprire clandestinamente solo per noi gli interi istituti anatomici il giorno prima dell'esame durante un festivo (festa della repubblica). Solo di una cosa, quel giorno stesso, avevo il terrore: l'utero e i suoi incannatissimi 4 legamenti. Ora voi mi direte: "Cacchio, un figlio di un ginecologo che non sa l'utero è un fallito!", purtroppo però non riusciva a entrarmi in testa neanche se me la picchiavo di continuo con il femore.


3 giugno. Mi siedo, davanti a me la prof che, in silenzio, guarda il mio libretto e scrive qualcosa sa un pezzo di carta bianca. Nella mia mente in preda al terrore, solo un'immagine: un utero gigantesco con il pallido colore rosa delle tavole del Netter, dai quali partivano enormi legamenti multicolore tra i quali spiccavano quelli con il nome più tenebroso che avessi mai sentito nella mia breve vita da studente di medicina: i terribili LEGAMENTI CARDINALI DEL MACKENRODT. Quando pensavo a essi mi veniva in mente una bussola (dove ci sono i segni cardinali) e un piatto sospeso in aria di maccheroni al pomodoro, secchi, freddi e disgustosi, e ogni volta che ripassavamo l'utero, allo scandire quell'orrendo nome, un brivido di paura mi percorreva la schiena.


"Mi parli... (ci pensa su), mi parli... mi parli dell'utero!". Non ci potevo credere. La leggenda che avevo sentito qualche tempo prima da uno studente più anziano di me era vera. Io lo avevo addirittura deriso per la sua teoria, e invece scoprii che era valida. Così mi vennero in mente le sue parole profetiche: "Quando ti presenti a un orale non sapendo un argomento e, prima che il prof cominci a interrogarti, speri in cuor tuo che la domanda non sia proprio su quell'unica cosa che non sai, hai un'altissima probabilità che invece ti chieda proprio quella cosa".


("No, non ci credo, non ci posso credere, ora come faccio"). Iin fondo, cazzo, mi erano venuti i bernoccoli in testa a furia di femorate per studiare quell'organo! Così partii. Memore dell'esempio che la prof fece a lezione, cominciai così: "L'utero è un organo cavo a forma di pera Williams rovesciata". Sgranò gli occhi e un sorriso nacque sul suo viso.


"Non va bene?" le chiesi io.


"No no va bene, è solo che mai nessuno mi aveva detto una cosa del genere all'esame"


"Eh prof, ma sa, è meglio specificare, perchè esistono tanti tipi di pera che hanno forma diversa dalla Williams"


E lei, ridendo: "Eh beh ha ragione, continui pure".


Le dissi bene le generalità sull'utero, feci un po' di casino sui legamenti, ma riuscii a passare macroanatomia. Dopo mezz'ora mi interrogò la prof. di microanatomia che mi chiese l'ipofisi e gli ormoni ipofisari, me la cavai discretamente.


21. Quel voto significava che avrei continuato a vedere i pennacchi dei carabinieri in televisione, ma soprattutto che in quella afosa, fottutissima estate di 4 anni fa mi sarei dovuto fare un culo così per passare l'altro bestione che mi aspettava dietro l'angolo: fisiologia II.

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